Slave Island

Uno dei luoghi più belli del mondo, un’isola nell’OceanoPacifico. I cavalli selvatici giocano sulle spiagge rincorrendosi e combattendo l’un l’altro per la supremazia nel territorio. Resti di ceppi di ferro degli schiavi rimangono sulla riva incontaminata. Sembrano vecchi ma in realtà potrebbero essere appena stati abbandonati. Un uomo indonesiano di 40 anni con i suoi riccioli scuri, Jeremy Kewuan cammina a piedi nudi sulla spiaggia, legge e recita un’antica poesia sul suo smartphone: “Quando sono tornato a casa, subito dopo essere stato messo al mondo da mia madre, ho visto una goccia di sangue. Sono protagonista di un’avventura di cui non so nulla: Chi si aggrappa al dolore e chi no? Sono andato a cercare risposte per decifrare il passato. Non c’è presente né futuro. Ho guardato verso il basso e ho visto un libro scritto col sangue, un sangue di colore blu. All’inizio il poema è un inno alla bellezza dell’isola e ai miti dei re Maramba che regnarono in un glorioso passato… ma anche al loro modo di trattare i ceti popolari, che consideravano una razza inferiore. Jeremy poi fa una riflessione sul presente con un commento sarcastico: “Esisterà un futuro per “Sumba” fin quando la sua dottrina sarà mantenuta in vita?”. Jeremy alza lo sguardo. Un aereo passeggeri sorvola la spiaggia e sta per atterrare. Una giovane donna, presa in custodia dalle suore, viene accompagnata verso l’aeroporto. Entra in macchina, si siede dietro, nascondendosi dalla vista degli altri. La suora sta guidando e Jeremy sta filmando tutto, è seduto davanti come se fosse un passeggero. Sulla strada capanne monumentali fatte di foglie essiccate formano un baldacchino… La gente vive ancora li in modo tradizionale. L’auto arriva al paese di Rina e tutti escono, ad accoglierli c’è una famiglia numerosa e festante. La suora si avvicina a loro, rivolgendosi al padre della piccola, e a tutti gli abitanti del villaggio: “Non vendete i vostri figli ad estranei, come fossero merce… Questo è quello che hanno fatto a Rina, malata, maltrattata e abusata. È solo una bambina”. Questa è “Slave Island”.

Hambre

In un Venezuela in crisi, due ex compagni di scuola sono accomunati da dubbi morali ed esistenziali. Roberto, un rigido idealista che lavora per il Ministero dei Trasporti, fatica a sbarcare il lunario ma si impegna a non abbandonare mai la sua patria e guarda con disprezzo chi abbandona il Paese. Selina, un’imprudente rampolla espatriata, lavora illegalmente in Italia e sta pensando di sposarsi per  ottenere i documenti, una situazione che nasconde alla sua agiata famiglia in Venezuela. Quando Roberto riceve quella che sembra una straordinaria opportunità di lavoro all’estero e Selina rimane intrappolata in Venezuela durante le vacanze di Natale, i due si trovano di fronte a una domanda difficile: resteranno per ricostruire la loro patria o affronteranno le incertezze di una vita da immigrati? Il film è un’immersione nella profonda crisi economica e sociale del Venezuela. Ritrae sia la fame fisica che quella morale, rivelando come la corruzione si infiltri in una società dall’alto verso il basso fino a schiacciarla, dalla più alta dei funzionari politici, attraverso i piccoli burocrati, fino ai singoli cittadini. La narrazione è incentrata su storie di violazione quotidiana dei diritti umani, fatte di violenza, abuso di potere, malnutrizione, mancanza di istruzione, disuguaglianza sociale e  evastazione economica. È questo lo scenario che innesca la migrazione di massa, un processo che cambia la fisionomia dei nostri paesaggi umani.